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Transgender day of visibility e professionisti della salute

Transgender day of visibility e professionisti della salute

Oggi, 31 marzo è il Transgender Day of Visibility, una giornata dedicata alla sensibilizzazione contro le discriminazioni verso le persone transgender di tutto il mondo.

Molte volte in questi anni, colleghe e colleghi mi hanno chiesto: “Ma perché tieni tanto alle persone transgender?”
Non so se mi abbia colpito di più la domanda in sé o il fatto che fosse posta da professionisti della salute.

Troppo spesso, chi opera nel mondo della salute dimostra una colpevole ignoranza rispetto ai temi delle identità di genere, un’ignoranza che non solo crea barriere per le persone transgender, ma può diventare attivamente dannosa per la loro salute e il loro benessere.

La medicina e la psicologia (e psicoterapia) avrebbero il dovere di evolversi, di aggiornarsi, di formarsi costantemente. Eppure, quando si tratta di persone transgender, il sistema sanitario rimane colpevolmente arretrato.

Quante volte ho assistito a sguardi perplessi, battute inappropriate, domande imbarazzanti fatte non per comprensione, ma per curiosità morbosa?
Quante volte ho visto persone transgender trattate come anomalie, anziché come pazienti con bisogni specifici e degni di rispetto?

Non è accettabile che ancora oggi molti medici, psicologi e altri professionisti della salute non abbiano una formazione adeguata su questi temi.
Non è accettabile che esistano ginecologi che si rifiutano di visitare, endocrinologi che non conoscono le basi della terapia ormonale, psichiatri che patologizzano identità che non hanno nulla di patologico.

Questa ignoranza non è neutrale. Ha conseguenze. Conseguenze gravi.
Le persone transgender che cercano assistenza sanitaria spesso si trovano di fronte a porte chiuse, a trattamenti inadeguati, a percorsi di transizione burocraticamente estenuanti e clinicamente obsoleti.
E tutto questo non fa altro che alimentare il disagio, l’isolamento, la paura.

Non possiamo più accettare che i professionisti della salute (e non solo) si nascondano dietro la scusa del “non ne so abbastanza”. Formarsi è un dovere. Aggiornarsi è un obbligo.

E non basta un corso ogni tanto, una lettura superficiale, un seminario fatto più per riempire il curriculum che per vera volontà di comprendere.

Serve un cambio di paradigma.
Serve una medicina che riconosca finalmente le persone transgender come parte della società, e non come casi clinici da esaminare con freddezza o, peggio ancora, con distacco giudicante.
Non può bastare un solo giorno per accendere i riflettori sulle discriminazioni, sulle violenze, sulla negazione dei diritti che le persone transgender subiscono ogni singolo giorno.

L’attenzione deve restare fissa. Sempre. Perché la dignità, il rispetto e i diritti umani non sono temi “di nicchia”, non sono battaglie marginali. Riguardano tutte e tutti.

E chiunque lavori nel mondo della salute ha una responsabilità: quella di non voltarsi dall’altra parte.

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