Quando il desiderio si spegne
C’è un momento, nella vita di molte persone e di molte coppie, in cui qualcosa cambia.
Non è un’esplosione. È un lento spegnersi. Il desiderio non arriva più, o arriva meno. O arriva altrove.
È una delle cose che ascolto più spesso in studio, ed è una delle più difficili da confessare.
“Non so cosa mi stia succedendo. È come se non provassi più attrazione per lui.”
“Prima non vedevo l’ora di tornare a casa, adesso mi invento delle scuse per restare fuori.”
“Lei mi dice che non la desidero più, ma io non riesco a spiegarle che non è così semplice.”
Dietro a queste frasi non c’è superficialità, né freddezza. C’è sofferenza autentica. Perché quando il desiderio cala, non è solo il sesso a cambiare: è l’intimità, la connessione, l’immagine che abbiamo di noi stessi e della coppia. È il sentirsi vivi.
Il caso di M.: l’amore c’è, ma non si sente più il corpo
M. ha 35 anni, una relazione stabile, due figli piccoli. Quando arriva in terapia, è frustrata e in colpa:
“Mio marito è un brav’uomo. Mi aiuta in casa, mi rispetta. Ma io non riesco più a desiderarlo. Mi sembra di essere diventata un’automa: mamma, lavoratrice, organizzatrice di tutto… ma non una donna.”
Nel lavoro con M., abbiamo messo a fuoco quanto spazio fosse stato invaso dalla fatica. I figli, il lavoro, le notti in bianco, il carico mentale. Il corpo era diventato un mezzo per sopravvivere, non più un luogo del piacere. Solo quando ha iniziato a ritrovare un tempo per sé, per riconnettersi con i suoi bisogni – anche attraverso piccole esperienze di mindfulness e cura del corpo – il desiderio ha cominciato a fare capolino.
Il caso di P.: la paura di non essere abbastanza
P. ha 42 anni, è in coppia da dieci, e da circa un anno evita i rapporti. Non perché non ami la sua compagna, ma perché si sente sotto esame:
“Mi blocco. Penso che se non riesco a soddisfarla, lei penserà che non valgo. E più penso così, più mi irrigidisco. È un incubo.”
Nel percorso terapeutico, abbiamo lavorato sul perfezionismo, sull’ansia da prestazione, su alcune esperienze del passato in cui P. aveva imparato che “valere” significava “funzionare sempre”. Solo quando ha iniziato a lasciarsi andare all’idea che l’intimità potesse anche essere imperfetta, tenera, goffa, ma autentica, il corpo ha ricominciato a rispondere. E con lui anche il desiderio.
Il caso di E. e M.: quando la distanza è emotiva
E. e M. convivono da quattro anni. Negli ultimi mesi, litigano spesso per piccole cose.
“Non ci tocchiamo più come prima. Ma forse è iniziato tutto quando ho cambiato lavoro e lei si è sentita esclusa.”
“Non è vero. È che tu ti sei chiusa, io non sapevo più come raggiungerti.”
Con loro abbiamo lavorato sulla comunicazione profonda, su ciò che non veniva detto ma pesava, su vecchie ferite mai elaborate. Non si trattava solo di riaccendere la passione, ma di ricostruire un ponte emotivo. E quando quel ponte ha iniziato a reggere, è tornato anche il contatto, spontaneo, desiderato.
Cosa fa davvero la terapia?
La terapia non “cura” il calo del desiderio come si cura un raffreddore.
Fa qualcosa di più sottile e potente: dà significato a ciò che sta accadendo.
Aiuta a esplorare il perché, a togliere la colpa, a riattivare lo spazio del desiderio che spesso è stato riempito da ansie, aspettative, stanchezza, ruoli.
Aiuta a rimettere il piacere al centro, con rispetto e senza pressioni.
Il desiderio può tornare?
Sì. A volte in forme nuove. A volte serve tempo. Altre volte bisogna lasciare andare immagini ideali di sé o della coppia. Ma il desiderio – se lo si ascolta davvero – è spesso una bussola che ci guida verso chi siamo e cosa vogliamo.
E no, non è sempre colpa nostra.
E no, non è tutto perduto.
A volte basta solo uno spazio sicuro dove raccontarsi, senza paura.
E in quello spazio, a poco a poco, il fuoco può tornare a farsi sentire.
A scaldare. A illuminare. A vivere.