Intervista con il DOC
Prima di questa Chiacchierata è necessario chiarire cosa si intende per DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo), in modo da sfatare miti e credenze ed evitare che qualcuno possa “etichettare o etichettarsi” in modo errato e superficiale.
Il DOC, secondo la classificazione del DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), è un disturbo caratterizzato dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni, caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi ricorrenti.
Almeno l’80% dei pazienti ossessivi ha ossessioni e compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi intrusivi e ripetitivi, percepiti come incontrollabili da chi li sperimenta. Tali idee sono sentite come disturbanti e attivano emozioni sgradevoli e molto intense come l’ansia, disgusto e senso di colpa. Le compulsioni tipiche del DOC sono dette anche cerimoniali o rituali in quanto consistono in comportamenti ripetitivi (come controllare, lavare/lavarsi, ordinare, ecc.) o azioni mentali (pregare, ripetere formule, contare) finalizzati a contenere il disagio emotivo provocato dai pensieri e dagli impulsi che caratterizzano le ossessioni descritte. Alcune persone possono avere più di un tipo di disturbo contemporaneamente o in momenti diversi della propria vita.
Se penso solo ad alcune delle caratteristiche diagnostiche di questo disturbo, non posso fare a meno di pensare a tante persone incontrate nella mia vita personale, alle quali sarebbe bastato far riconoscere la problematica che stavano vivendo, spesso in modo seriamente “disabilitante”, per migliorare la qualità della loro vita e dei propri famigliari.
F.: Buon pomeriggio G. Puoi ricordarmi quanti anni hai e cosa fai nella vita?
G.: Buon pomeriggio. Ho 25 anni ed ho una laurea magistrale in Economia. Al momento lavoro nel settore bancario, un lavoro che non mi piace, nonostante mi ritenga fortunato ad aver trovato un lavoro prima ancora di laurearmi.
F.: Tu hai sofferto di Disturbo Ossessivo Compulsivo per alcuni anni. Puoi parlarmene?
G.: Quando, dopo vari incontri con medici e specialisti mi hanno detto che soffrivo di questo disturbo, ho iniziato a chiamarlo DOC, senza sapere che si scrivesse cosi anche sui libri. Ero un ragazzo come tanti, frequentavo l’università da pochi mesi perciò avevo 19 anni. Ho iniziato a fossilizzarmi su pensieri ricorrenti che non riuscivo ad evitare. Quando ci riuscivo ne arrivavano altri ancora più insistenti. All’inizio erano solo pensieri, poi sono arrivati anche comportamenti insopportabili che, nel mio caso, mi hanno fatto stare peggio perché non potevo nasconderli a mia madre o ai miei amici, come facevo con i pensieri.
F.: In cosa consistevano quelli che tu definisci comportamenti insopportabili?
G.: Ero sempre stato un ragazzo e un figlio molto ordinato ma la mia ossessione per l’ordine e il controllo ha iniziato a insospettire mia madre che mi ha subito chiesto se ci fosse qualcosa che non andava. Ho ovviamente negato fino a quando l’ansia ha assunto dimensioni enormi. Quest’ansia ha iniziato a farmi perdere moltissimo tempo, per esempio per lavarmi al mattino prima di andare all’università, mettere in ordine prima la mia camera e successivamente tutta la casa, garage compreso. Ho iniziato a perdere il senso del tempo, saltando lezioni all’università, appuntamenti con amici e colleghi.
F.: Quanto tempo spendevi ogni giorno per queste “attività”?
G.: Ho iniziato con 1 ora fino ad arrivare anche a 8 ore al giorno. Non pensavo fosse un problema, non mi rendevo conto che il mondo intorno a me stava andando avanti senza di me. Questa situazione è durata 2 anni ed ho vissuto come sopra una giostra dove ansia e attacchi di panico potevano essere diciamo domati solo con i miei rituali.
F.: Che cosa è successo ad un certo punto?
G.: Sono stato malissimo, non dormivo ne mangiavo da giorni, perché occupato con quelle che poi hanno avuto un nome a carattere cubitale: ossessioni e compulsioni. Un giorno sono svenuto e sono stato portato in ospedale. Da li è iniziato un lungo percorso di quella che oggi posso definire rinascita. Ho incontrato dei medici molto gentili, pazienti, ho iniziato dopo un mese una terapia psicologica e lo ha fatto anche mia madre.
F.: Quando hai iniziato a sentirti meglio?
G.: E’ stato ed è un lungo percorso. Non posso dire che sia finito. Sono passati quasi 3 anni, mi ripeto quello che lo psicologo mi ha più volte detto: “non devi mollare neanche per un attimo perché hai impiegato molto tempo per stare meglio ma puoi ricominciare a stare male, soprattutto se senti dei campanelli d’allarme e non lo condividi con le persone che ti sono vicino”. Il supporto farmacologico non c’è più, quello psicologico continua. Il rapporto con mia madre è cambiato molto, migliore. Ho ripreso i rapporti con alcuni amici e con qualche collega. Non ho una ragazza ma la sto cercando…
F.: Grazie per le tue parole.
G.: Grazie a te, ops a Lei.
F.: Va bene anche il TU.
FINE